Raccontare l’indicibile: la storia del piccolo profugo siriano Alan Kurdi.
Giuliano Scarpinato, che ha scosso il teatro-ragazzi con Fa’afafine, torna a far lievitare il cuore doloroso delle cose, amplificare la vicenda di uno e farla diventare quella di molti, con Alan e il mare.
Il teatro ha delle possibilità in più rispetto alla cronaca: il sogno, la trasfigurazione. Ecco quindi che alle parole di Michele Degirolamo e Federico Brugnone, alla vita narrata, si aggiungono le immagini, e la vita “immaginata”: proiezioni realizzate in videomapping danno vita a sogni, aspettative, desideri. Non solo: portano in scena il luogo da cui arrivano la voce e la presenza di Alan, una sorta di Atlantide, piccolo Eden subacqueo tra le cui spume, sabbie, coralli la piccola esistenza del bambino è rimasta impigliata.
Una produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG e Accademia Perduta Romagna Teatri.
Trama
Alan e suo padre Abdullah lasciano il loro paese, in Siria, dove la guerra sta portando via le scuole, le case, gli alberi; salgono su una barchetta sgangherata e colma d’anime, per arrivare molto lontano. Ma quella notte una grande onda prende il bimbo via con sé: Alan scivola via dalle braccia forti di suo padre, e giù nelle acque profonde diventa fratello delle alghe, dei coralli, dell’anemone colorato. Abdullah non vuole vivere senza il suo bambino-pesce: decide di andare da lui, entrare nel mare. Lì però potrà restare solo per poco tempo; lui appartiene alla terra, ed è là, gli sussurra all’orecchio il suo Alan, che dovrà continuare a vivere ed essere felice.
La storia di Alan Kurdi, il piccolo profugo siriano annegato a settembre 2015 sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, ha costituito un momento di svolta nella nostra percezione, ormai da tempo “anestetizzata”, dell’epopea vissuta dai milioni di uomini, donne e bambini fuggiti dai propri paesi per approdare in Europa. L’immagine di Alan, potente e ineludibile, è un punto di non ritorno: lo è stata per Nilufer Demir, la fotoreporter che ha scattato la foto-simbolo (“Ero pietrificata. L’unica cosa che potevo fare era fare in modo che il suo grido fosse sentito da tutti”, ha dichiarato); lo è stata, oltre ogni misura di umana sofferenza, per il padre del bimbo, Abdullah al – Kurdi.
Note di regia
“Nel momento stesso in cui quell’immagine si imponeva ai miei occhi per mezzo di un telegiornale in prima serata, una domanda iniziava ad abitarmi: come raccontare tutto ciò a dei bambini, magari poco più grandi di quello annegato sulla costa di Bodrum? Come dire l’indicibile?”
Giuliano Scarpinato
Da qualche anno Giuliano Scarpinato ha intrapreso un percorso di ricerca nel delicato ambito del teatro per le nuove generazioni, con il desiderio di portare all’attenzione dei più giovani temi difficili, complessi, che sfuggono a soluzioni semplici e necessariamente edificanti. Impossibile prescindere, per raccontare una storia così recente, dalle testimonianze reali dei suoi protagonisti: i racconti di Abdullah Kurdi e Nilufer Demir sono stati una preziosa risorsa, insieme ad un’ulteriore quantità di altri, incredibili racconti di giovanissimi profughi. La veridicità della narrazione è imprescindibile in un lavoro che vuole anche essere un tributo alla storia di persone realmente esistite.
Ma il teatro ha delle possibilità in più rispetto a quelle della cronaca: sono quelle del sogno, della trasfigurazione. Se la storia di Alan rimanesse solo sua, raccontarla sarebbe inutile. Allo spettatore, giovane o adulto, spetta il compito di raccogliere quell’esistenza; come porgendo l’orecchio a una conchiglia per sentire, in qualsiasi luogo ci si trovi, il lontano rumore del mare.