Bisogna cantare e stare allegri. Tutto andrà.
Amleto è una domanda che nasce dalla visione di uno spettro. Lo spettro è il momento in cui guardiamo dentro noi stessi. Una pausa del tempo, un frattempo, un buio. Ci sbatte in faccia quello che possiamo essere. Noi sappiamo quello che siamo, non sappiamo quello che possiamo essere. Amleto è soggetto e oggetto della domanda, come ognuno di noi. Per tutti c’è un mistero nella realtà.
Macelleria Ettore accetta la sfida elisabettiana. Due attori in uno spazio nudo provano Amleto. Sprofondano nel testo, squarciano scene, scavano immagini e prendono derive sorprendenti. Due vite alla prova. Amleto e Ofelia, interpretati da Stefano Pietro Detassis e Maura Pettorruso. Essere e non essere. Attori e personaggi. Ombre che si fanno da specchio, identità inconsistenti. Il confronto è un dialogo al buio. Le parole affiorano come bagliori estemporanei. I piani si confondono, come vita e teatro. Cerchiamo di accordare l’azione alla parola e il pensiero all’azione nel tentativo di tendere lo specchio alla natura. Fare accadere il teatro come un incidente. Amleto? è una ricerca nella sottrazione di artificio: voci nude, corpi esposti, buio, luci, ombre. Un’esperienza semplice e misteriosa. La vita si riversa in scena per lasciare una traccia, un’eco di sé. Ofelia e Amleto provano parti della tragedia. Ma qui la tragedia è la vita reale. Con una trama da costruire. E un epilogo da inventare. L’originale shakespeariano vive di pochi cenni, rare suggestioni a sancire la distanza siderale tra due anime disanimate. L’alba non è mai giorno, la notte comanda.
Il montaggio è nella testa dello spettatore. Ognuno trova un pezzo di sé. L’eco di una domanda cui non ha risposto. Un’azione sviscerata dal pensiero e non agita. Un ricordo che ha il sapore dell’allucinazione. Uno spettro che pesa sul cuore. Il resto è silenzio.