L’esserci, (l’essere umano) compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso.
Martin Heidegger Il concetto di tempo
PRIMA NAZIONALE
Dopo una lunga permanenza nella classicità e un anno pasoliniano, la compagnia Archivio Zeta si misura con il suo primo Shakespeare, grazie alla sinergia creata dalla co-produzione con Elsinor Centro di Produzione Teatrale, che nel suo percorso ha più volte incontrato le opere del Bardo.
Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni hanno deciso di lavorare sull’impronunciabile dramma scozzese perché, oltre a essere azione tragica e criminale che ha legami profondi con le vicende di Oreste ed Edipo, questo copione è fonte inesauribile di riflessioni filosofiche e politiche.
Trama
In questo dramma dal ritmo serrato emergono con furore due movimenti: il tema del tempo e quello della paura. Un tempo che fa paura. La paura di Macbeth è quindi quella che diventa (s)oggetto della mente, paura delle azioni, di ciò che potrà compiere ponendosi fuori dall’ordine delle cose, scardinando l’assetto del Cosmo Simbolico di cui il re (pianeta terra, occhio centrale) è sacro garante.
Alla base della riflessione proposta da Archivio Zeta c’è la ricerca dell’origine del male che muove le azioni. Chi spinge Macbeth verso il male? Il male che proviene dalle rivelazioni di Ecate/donnalupo e dalle Streghe/Parche è diabolico, divino. Macbeth, accogliendolo in sé, facendolo suo, lo rende umano, troppo umano. La coscienza deve essere oscurata in quest’uomo che vuole conoscere l’Universo, che vuole spingersi più in là, che mette in discussione le sacre regole del cosmo, che ha paura dell’ignoto e che la conoscenza porterà all’orrore, orrore di sé, di ciò che il suo gesto da assassino ha partorito.
Un eroe formato da due persone, parti inseparabili dello stesso dramma, assassini che ci mostrano due aspetti della mente criminale, due lobi dello stesso cervello, entrambi coinvolti e risucchiati dal medesimo universo buio e pauroso. Siamo in un incubo ad occhi aperti, rinchiusi nel cerchio di un orologio fermo, una sincope, un arresto cardiaco che sospende, anzi annulla, il tempo: solo i ricorrenti battiti che risuonano a lungo potranno sbloccare la corona, far ripartire il polso, ricominciare a respirare.
Lo spettacolo è un buco nero attorno al quale ruota la materia, i versi si aggregano, procedono e infine proiettano l’essere umano verso un tempo nuovo. Time is free. Questo è uno dei versi finali. Un’espulsione che però non purifica ma alimenta nuovo tempo.
Venerdì 7 ottobre | ore 22.45 | Teatro Studio ‘Mila Pieralli’
La Compagnia Archivio Zeta incontra il pubblico, dopo il debutto.
Ingresso libero